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<-- Le Courrier du Geri, Revue d'islamologie et de théologie musulmane, 1/2 -->
Un approccio occidentale alla Conoszensa dell'Islam di Guido Bellatti Ceccoli
E Dio disse: "Sono il gorgoglio dell'acqua per le orecchie dell'assetato: arrivo come la pioggia dal cielo." (Gialal ud-Din Rumi, Mathnavi, VI, 591).
PREMESSA
Cosa puo' attirare una persona verso una religione? Questa domanda se la porgono molti atei, ma anche molti credenti "potenziali" (che si dichiarano ench'essi atei) i quali, avendo un cattivo rapporto con la religione, l'assimilano alla fede, confondendo quindi il rifiuto di applicare la loro spiritualitˆ al rifiuto della spiritualitˆ stessa. Secondo l'approccio dei credenti in senso ampio, si puo' quindi negare ogni riconoscimento esplicito del Sovra-umano, ma non si puo' negarne l' essenza, perché cio' equivarrebbe a mettere in questione l'esistenza stessa dell'Universo che ci ingloba. Un Universo unico al cui "Re" si ricondurebbero tutti gli esseri viventi e tutte le cose, nella loro diversitˆ e molteplicitˆ. Accettata questa premessa, si puo' scegliere o meno una religione. In altre parole, si puo' decidere di avere una spiritualità interiore, senza forme particolari di espressione, o invece decidere di esternare tale spiritualità attraverso una religione, rivolgendosi cosi' a Dio tramite i principi e le forme che essa prevede. La religione precisa, innanzi tutto, una serie di concetti fondamentali che descrivono in quali ambiti si esprime una certa visione della Divinitˆ. La religione cristiana, ad esempio, riconosce la Trinitˆ, nella quale Dio, sebbene unico, si divide in Padre, Figlio e Spirito Santo, a differenza della religione mussulmana, che afferma l'Unicitˆ assoluta e rifiuta ogni forma di Trinitˆ o di assimilazione di Dio all'uomo (Corano, Sura 112, Versetti 1-4).
Tali principi fondamentali, "dogmi" nei quali dato o non dato credere (secondo la percezione di ognuno), sono le pietre angolari su cui si fonda ogni religione. Si puo' quindi avere un punto di vista differente (dunque una diversa religione), ma non si puo' rimettere in discussione i dogmi della propria religione senza farne barcollare l'intero impianto. Secondo l'Islam, il rapporto uomo-Dio non puo' che essere diretto e senza nessuna ingerenza da Alla base di ogni valutazione e di ogni scelta deve comunque porsi l'accesso alla conoscenza, e uno sforzo costante teso a tracciare i limiti esistenti tra fede, religione, cultura, politica e altri campi del sociale.
CONOSCERE PER SCEGLIERE
La conoscenza un diritto naturale ed evidente di ogni individuo (Hadith - ossia citazione di quanto detto dal Profeta Maometto - riportato da Al-Bayhaqi): questo uno dei principi fondamentali dell'Islàm, dove la sottomissione a Dio rima logicamente con il diritto-dovere di ricercare il sapere, apprendere e confrontare la scienza, la natura e gli altri campi dello scibile umano. Quindi, secondo questo punto di vista, l'uomo, con i suoi limiti, puo' avvicinarsi alla Divinitˆ anche attraverso lo studio del mondo - creazione divina - in cui vive. Cio' porta Mohammed Iqbal a affermare che lo scopo principale del Corano di risvegliare nell'uomo una coscienza pi alta delle sue molteplici relazioni con Dio e l'universo (Cf Mohammed Iqbal, Reconstruire la pensée religieuse de l'Islam, Ed. du Rocher/Ed.UNESCO, 1996, pagina 8). In tale ottica, il sapere legato indissolubilmente alla ragione. Non c'Ž alcuna antitesi tra razionalitˆ e religione, tra scienza e divinitˆ. Dato che tutto si riconduce a Dio, ricercare i fondamenti razionali del mondo in cui viviamo, ideale e reale, con una dedizione totale alla veritˆ, significa affermare e confermare la grandezza divina. In questo senso puo' leggersi l' invocazione del Profeta:"Mio Dio! Accordami di conoscere la natura ultima delle cose!" Il rapporto esistente tra ragione e fede stato studiato approfonditamente da Ibn Roshd (Averro), teologo andaluso del XIII¡ Secolo, che subi' l'influenza di Aristotele, di cui tradusse e diffuse l'opera nell'Europa del tempo. Secondo Ibn Roshd la relazione tra ragione e fede va analizzata utilizzando due strumenti preziosi: la logica ed il sillogismo. In tal modo, in un'ottica contemporanea, il discorso si allarga fino a considerare la ragione come il fondamento dell'empirismo illuminista e quindi della scienza moderna. Ci si rende conto, in altre parole, che il terreno e il Trascendente sono legati indissolubilmente, senza scontri possibili tra i due, ma solo con una logica subordinazione del primo al secondo. L'Islˆm riconcilierebbe quindi il mondo spirituale e quello della materia, riconoscendo l'empirismo come parte integrante della spiritualitˆ umana. La vita terrena non quindi da vivere nella sofferenza, come l'anticamera di una beata compensazione post mortem. L'uomo ha il diritto di ricercare la felicitˆ e di viverla attraverso la coscienza piena del mondo materiale in cui immerso, senza alcuna antitesi con la dimensione retributiva dell'aldilˆ. Cosi', empiricamente, l'esperienza religiosa fa parte dell'esperienza umana, ed i relativi fatti sono allo stesso modo capaci di fornire all'interpretazione un soggetto di conoscenza. Cio' ha permesso a Iqbal di affermare che "lo spirito del Corano fu all'origine del movimento culturale che ha infine dato luogo alla nascita dell'attitudine empirica moderna", approfondendo e chiarendo i rapporti tra le varie forme di conoscenza, compresa ovviamente quella mistica. (Mohammed Iqbal, Op. cit.). Secondo gli esegeti musulmani, un' invito alla ricerca del sapere attraverso l'osservazione della vita e, in genere, della natura si ritrova innanzi tutto nel Corano: "In veritˆ, nella creazione dei cieli e della terra e nell'alternarsi della notte e del giorno ci sono segni evidenti per coloro che dispongono dell'intelletto" (S.3, V.190). E ancora: "Non vedi che tutto quel che si trova nei cieli e nella terra e gli uccelli che spiegano le loro ali sono una lode a Dio?" (S.24, V.41). L'essere umano sarebbe quindi investito dall'Alto di una missione conoscitiva senza limiti, che non siano - ovviamente - quelli connaturati alla sua natura terrena. A proposito di tale missione e del suo fondamento stato scritto che "tra volontˆ divina e limiti umani esiste uno spazio di libertˆ dove l'uomo instaura la propria relazione a Dio, senza intermediari. E il primo omaggio ch'egli deve rendere al suo Creatore di far funzionare la sua ragione, dono assoluto di Dio alla sua creatura. E' con una gioia profonda che il musulmano ringrazia Dio di tale privilegio usando la ragione nella sua vita terrena, dividendo tale ragione con gli altri e trasmettendo il suo sapere ai suoi simili", come richiestogli dal Messaggio Divino (cosi' Nasser Khemir in Paroles d'Islam, Ed. Albin Michel, Parigi, 1994, pagina 8). Questa apertura mentale, che ha contraddistinto "l'etˆ d'oro" dell'Islˆm ( contemporanea al medio-evo europeo), utilizzerebbe dunque il dubbio come lo strumento lecito che apre le porte della ricerca del sapere, senza nessuna preclusione. Anche in riferimento al Corano e alle altre fonti di diritto musulmano ("shˆria") l'attitudine dello studioso stata, giˆ in quell'epoca, assai aperta e libera, fino a considerare lo sforzo d'interpretazione personale ( "Ijtihad") del Testo Sacro come una di tali fonti. L'opera interpretativa sempre necessaria, dato che ogni testo, per quanto chiaro, non puo' essere oggettivo in senso assoluto, essendo sempre sottoposto ad una percezione soggettiva del lettore. Cio' porta Mohamed Talbi a affermare che "la sola oggettivitˆ possibile l'ignoranza" (Mohamed Talbi e Maurice Bucaille, RŽflexions sur le Coran, Ed. Seghers, Parigi, 1989, pagina 16). L' "etˆ d'oro" del pensiero islamico dunque culminata nel florilegio di grandi filosofi e uomini di cultura, tra i quali si deve contare anche Ibn Roshd. A partire dal XII¡-XIII¡ Secolo, si assiste pero' ad un fenomeno storico che vede al tempo stesso l'apertura crescente del mondo occidentale e la chiusura intellettuale di una parte del mondo islamico. Cosi', mentre l'approccio teologico razionalista di Ibn Roshd adottato e sviluppato nella teologia ebraica ( soprattutto grazie a Maimonide ) ed in quella cristiana (si ricordi Tommaso d'Aquino), la teologia mussulmana vivrebbe, secondo certi osservatori, un inaridimento che la imprigiona in un torpore che durerˆ ben sei secoli, ossia fino al XIX¡ Secolo. In tale momento, infatti, inizia quel che stato definito il"rinascimento" mussulmano (la "Nahda"), animato da personaggi di grande valore come, ad esempio, Mohammed Abdu. In tale contesto l'analisi tra fede e ragione tornata ad essere un argomento all'ordine del giorno per filosofi e teologi, con un'indiscussa riapertura della porte dell'Ijtihad. Quest'ultima, infatti, sarebbe stata rallentata nel periodo di "decadenza", per lasciare il posto ad un trionfante "taqlid", inteso negativamente, ossia come freno ad un libero confronto. Cio' merita una spiegazione. Con il termine "taqlid", infatti, puo' intendersi innanzi tutto l'obbedienza al Corano e alla Sunna, il che implica necessariamente lo studio e lo sviluppo del pensiero critico ad essa inerente. Questo Ž il taqlid "dinamico", da considerare positivamente essendo compatibile con l'ijtihad. Diversamente, per taqlid si intende anche la cristallizzazione dei precetti religiosi, senza spazi critici possibili. Questa versione del taqlid quindi "negativa" perchŽ incompatibile con ogni forma di libero esercizio della ragione. PerchŽ tale esercizio progredisca e sia fruttuoso Ž importante garantire il massimo pluralismo dottrinale. E nei sei secoli di "decadenza" di cui sopra tale pluralismo sarebbe stato ostacolato dal "controllo" esercitato da ognuna delle quattro scuole teologiche sunnite nelle rispettive aree geografiche. Infatti, malgrado l'espansione della dottrina hanafita/sciafeita in buona parte del mondo arabo, ossia nelle varie contrade dell'impero ottomano, il Magreb ha visto la preponderanza dei malechiti, l'Egitto degli sciafeiti, la penisola araba degli hanbaliti. BenchŽ tale partizione geografica sia ancor'oggi evidente, i difensori di un'Islˆm moderno sono contrari a tali forme di divisione dottrinale, volendo piuttosto mettere l'accento sui valori e sulle fondamenta comuni in cui possono riconoscersi tutti i mussulmani senza distinzioni.
La chiarezza del testo coranico
La maggior parte delle edizioni del Corano disponibili attualmente assai chiara dato che ha il vantaggio di essere scritta in un arabo "vocalizzato" (mentre di solito la lingua araba scritta senza vocali, e le parole si limitano alla loro"carcassa consonantica"). Per questo i dubbi sulla chiarezza del diritto islamico espressi da certa dottrina che denuncia il rischio di esegesi sottoposte a "complesse dispute filologiche" (Mario G. Losano, I grandi sistemi giuridici, Ed. "Pbe" Einaudi, Torino, 1988, pagina 239), non sarebbero troppo preoccupanti, dato che il testo del Corano riproduce infatti minimo dettaglio fonetico e grammaticale della lingua araba, indicando tutte le "vocali corte" (kasra, dhamma e fatha) - oltre alle "vocali lunghe" (alif, ua e ia), giˆ previste nella "parola-base" - e non tralasciando nessuna sciˆdda (raddoppio della consonante) nŽ nessun tanuin (per un'esatta analisi logica della frase). Tali dispute sarebbero quindi da far rientrare in un quadro pi vasto di dialogo e di analisi, quindi andrebbero sdrammatizzate e viste come fattore positivo. Il teologo-giurista o "dottore della legge" islamico, detto anche saggio (alim, plurale ulama), nel suo lavoro di studio e di esegesi, dovrebbe avere conoscenze vaste e pluridisciplinari, non solo giuridiche, ma anche di chimica, di fisica, di algebra, di astronomia, di filosofia, di letteratura, di poesia, e cosi' via. In Islˆm, l'assenza di un forte controllo alle fonti del sapere avrebbe permesso agli ulama di svolgere un'attivitˆ di studio e di ricerca individuale ed informale assai libera, perchŽ svincolata da ogni forma di coercizione politico-moralistica ( si veda, in questo senso, Mario G. Losano, Op. cit., pagine 242 e 243). Quanto precede dovrebbe dare un' idea - anche se vaga e certamente incompleta - di quanto la conoscenza (e l'accesso alla stessa) sarebbe da considerare, secondo molti studiosi, come favorita e incoraggiata nella concezione islamica della vita.
LE TRADUZIONI DEL CORANO
Un problema da non sottovalutare la difficoltˆ che esiste per i non arabofoni di accedere alla conoscenza del Corano e degli altri testi islamici, dato che la loro traduzione puo' essere difficilmente reperibile o non affidabile. Gli effetti negativi che possono avere le cattive traduzioni del Corano sono ben spiegati da Maurice Bucaille (Mohamed Talbi e Maurice Bucaille, RŽflexions sur le Coran, Ed. Seghers, Parigi, 1989, pagine 230-237), che arriva a affermare - forse in maniera troppo pessimistica -che "le traduzioni che si trovano in circolazione ai giorni nostri sono molto spesso inutilizzabili". Causa di tale problema , innanzi tutto, la mancanza di comprensione di cio' che si traduce, spesso per mancanza di conoscenze scientifiche o, all'inverso, per una visione eccessivamente scientifica del testo. Errori di traduzione possono derivare anche dall' eccessivo attaccamento a interpretazioni tradizionali ormai desuete, a causa dei chiarimenti derivanti dal progresso scientifico, o da un' eccessiva fiducia in tali "nuove" nozioni, quando invece sarebbe pi opportuno attenersi alle versioni pi antiche. In conclusione, anche se vero che una traduzione non potrˆ mai rendere completamente il senso originale, non va sottovalutata la sua importanza: la sola fonte di conoscenza del Corano (quindi dell'essenza dell'Islˆm) per milioni di non arabofoni, che hanno il diritto di conoscere per giudicare. In particolare, penso a tutti coloro che non hanno modo di imparare l'arabo e che vivono nel "mondo occidentale" (Europa, Americhe). Essi sono, molto spesso, vittime di generalizzazioni e pregiudizi anti-islamici che talvolta sfociano in forme di intolleranza e di razzismo.
DIFFERENZA TRA CULTURE E RELIGIONE
Credo che nessuno possa sostenere l'esistenza di una "cultura islamica" unica e totalizzante, capace di assorbire l'intera dimensione etica, storica e identitaria dei Paesi dove l'Islˆm la religione maggioritaria (Paesi che chiamero', d'ora in poi, per comoditˆ, "Paesi islamici"). Se si considera che la cultura comprende, oltre alle esperienze spirituali, anche il complesso delle realizzazioni artistiche e scientifiche maturate in un ambiente geograficamente e storicamente determinato, non si puo' non comprendere, in questo quadro, le differenze culturali esistenti tra Bangladesh, Iran, Marocco, Senegal, Siria, Turchia e cosi' via elencando i Paesi islamici. Va comunque precisato che la classificazione geo-politica in Stati, appena usata per richiamare certe differenze, frutto di una storia contrassegnata dall'influenza della colonizzazione europea e ad essa sopravvissuta nell'Islˆm contemporaneo. Tale classificazione, essendo il frutto di un solo aspetto dell'itinerario storico, quello politico (aspetto, tra l'altro, esogeno in quanto imposto dalle potenze coloniali dominanti), riflette solo in parte le differenze culturali esistenti in terra d'Islˆm. In senso antropologico, poi, per "cultura" si deve intendere l'insieme delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo (o di un altro gruppo etnico), facendo ben attenzione a mettere tali manifestazioni in stretta relazione alle varie fasi di un processo evolutivo o ai diversi periodi storici o alle condizioni ambientali. Si precisa cosi', con ancora maggior forza, quanto le differenze culturali esistano e siano vive all'interno delle varie realtˆ "islamiche", che vanno dall'oceano indiano all'atlantico e che sono frutto del continuo succedersi di cambiamenti spesso profondi. La distinzione tra religione e cultura, nonostante le influenze dell'una sull'altra, importante per abbandonare vecchi luoghi comuni secondo i quali per essere mussulmani bisognerebbe far parte, dalla nascita, di un certo ambito culturale (quello arabo, per l'esattezza). Cio' errato non solo perchŽ gli arabi costituiscono solo un ottavo del miliardo e duecento milioni di mussulmani attuali, ma anche perchŽ i principi islamici sono applicabili ovunque, qualunque sia la cultura d'origine. Quanto precede ci porta naturalmente a trattare dell'elemento spirituale unificante dell'Islˆm, ossia la sua vocazione universale.
L'UNIVERSALISMO DELLA RELIGIONE
Secondo il Corano, l'Islˆm per sua natura universale, e Dio il Signore degli Universi, dei Mondi (vedasi per tutte la prima Sura - l'apertura - del Corano): una religione indirizzata a tutti gli abitanti dell'Universo (S.6,V.89-90; S.12,V.104; S.38,V.87; S.68,V.51-52; S.110, V.1-3). Mohamed Talbi, afferma quindi che " il Corano non proprietˆ dei mussulmani: appartiene, come tutti i testi maggiori, a tutta l'umanitˆ." (Cf. Mohamed Talbi e Maurice Bucaille, Op. cit., pagina 17). Cio' dovrebbe giˆ bastare a confutare quanto affermato, anche in buona fede, da coloro che vogliono far apparire l'Islˆm come un messaggio rivolto - da Maometto e non da Dio - unicamente alle trib arabe dell'epoca della Rivelazione, da riunire in una "nazione" o "comunitˆ" circoscritta in termini religiosi e politici (si citi, a conferma dell'universalismo islamico, il commento alla traduzione del Corano di Cherubino Mario Guzzetti: Il Corano, Edizioni Elle Di Ci, Leumann - Torino, 1993, pagina 88, nota 20, e i riferimenti nell'indice analitico, a pagina 408). I particolarismi, nel testo sacro, sono presenti ed innegabili, ma non dovrebbero - secondo tale concezione - in alcun caso essere intesi come delle limitazioni alla portata generale della religione mussulmana. Occorre poi dare il suo giusto valore al fatto che il Corano sia in arabo. Infatti l'arabo la lingua del Messaggio, non la lingua di Dio. Ammettere questa seconda ipotesi sarebbe come fornire una rappresentazione antropomorfica della divinitˆ, vietata in Islˆm. La lingua solo un mezzo, uno strumento, per quanto importante esso sia, necessario alla trasmissione di idee, situazioni e precetti. La lingua araba non dunque superiore alle altre lingue, come qualcuno potrebbe pensare. Lo stesso discorso si impone, mutatis mutandis, anche nei confronti del popolo arabo, al quale non deve essere riconosciuta alcuna prioritˆ dovuta al fatto di annoverare tra i suoi esponenti il Profeta e di essere il primo destinatario della Rivelazione. Questa visione, dove l'appartenenza all'Islˆm non implica nessun riconoscimento di preponderanza nŽ alla lingua araba ne al popolo arabo, generalmente accettata. Quanto sopra troverebbe poi un'ulteriore conferma nel principio di uguaglianza tra tutti gli esseri umani, che secondo molti esegeti sarebbe affermato con forza e chiarezza dall'Islˆm. Come nessun uomo sarebbe superiore all'altro, nessun popolo e nessuna lingua potrebbero porsi al di sopra di altri popoli e altre lingue. Questa vocazione universale soppianterebbe insomma, a livello spirituale, ogni forma di particolarismo, sia esso culturale, etnico, politico o di altra natura.
DIFFERENZA TRA POLITICA E RELIGIONE
I mass-media "occidentali" spesso diffondono immagini e opinioni manichee dove il mussulmano automaticamente assimilato all'islamista, quindi all'aggressore ed al terrorista (al Male, insomma), fino a ritenerlo capace di minacciare i delicati equilibri mondiali. Le generalizzazioni sono anch'esse numerosissime, tanto da far assimilare certe innegabili violazioni di diritti umani (commesse in certi Paesi islamici) come precetti coranici, quindi come l'immagine stessa dell'Islˆm. Ma stato fatto notare che tali violazioni sono spesso il frutto di una cattiva interpretazione della religione musulmana, e che spesso hanno origini storico-sociali (come certi riti tribali, spesso retaggi pre-islamici), oppure storico-politiche. Andrebbe insomma considerato il fatto che la religione in certi casi utilizzata (nei Paesi islamici come altrove) snaturandone i principi essenziali, come arma impropria (ma efficace) per scopi politici. Diventa quindi essenziale fare fino in fondo la differenza tra religione e politica.
SCELTA RELIGIOSA E SINTESI CULTURALE Quanto sopra dovrebbe portare alla conclusione che un europeo, o in generale un "occidentale" potrebbe mantenere intatta la sua cultura d'origine (nazionale o locale), senza rinnegarla minimamente, e diventare - o riconoscersi - mussulmano a pieno titolo. A cio' si potrebbe obiettare che ogni cultura ha delle componenti religiose, non districabili dal resto del bagaglio culturale di ognuno di noi. Tali elementi culturali giudeo-cristiani d'origine impedirebbero quindi a un occidentale di diventare un mussulmano vero ( al massimo potrebbe diventarne una caricatura ). Questa impostazione comunque contestata affermando la valenza dell'universalitˆ dell'Islˆm di cui ho accennato sopra. Ma anche volendo limitare la questione all'aspetto puramente culturale, innegabile che la tradizione culturale giudeo-cristiana e quella islamica (in senso ampio) condividono un patrimonio comune considerabile, e seguono entrambe un itinerario storico fatto di secoli di scambi reciproci di conoscenze e di esperienze positive.
Guido Bellatti Ceccoli
UNE APPROCHE OCCIDENTALE Ë LA CONNAISSANCE DE L'ISLAM
de Guido Bellatti Ceccoli
RESUMƒ
Souvent on mŽlange la spiritualitŽ (foi en Dieu) avec son expression (la religion), par consŽquent le refus de la deuxime entraine nŽcŽssairement le refus de la premire. Cette nŽgation de l'essence de la DivinitŽ met en cause l'Žxistance de ce qui ne peut pas tre expliquŽ ˆ l'Žchelle humaine. Si l'on reconna"t Dieu on peut vivre sa propre spiritualitŽ intŽrieurement ou l'exprimer par une religion en suivant ses principes et ses formes. Chaque religion est fondŽe sur des dogmes, auxquels on peut croire ou pas, qui soutiennent toute la structure. Par exemple, la TrinitŽ pour les chrŽtiens et l'unicitŽ absolue de Dieu pour les musulmans. La connaissance est nŽcessaire pour comprendre et juger correctement toute chose. L'Islam reconnait ˆ la qute du savoir (sous toutes ses formes) un r™le trŽs important, car conna"tre le monde signifie s'approcher ˆ Dieu, par tous les moyens intellectuels et empiriques, en conciliant la matire et la spiritualitŽ pure. Exercer ce droit-devoir signifie aussi pouvoir interprŽter l'objet de ses Žtudes ( comme la charia ) d'une faon libre. Cela a ŽtŽ possibles surtout pendant la pŽriode d'or, au cours de laquelle l'ijtihad a ŽtŽ largement utilisŽ par les ulama. La connaissance de l'Islam passe aussi, pour les non arabophones, par les traductions du Coran, malgrŽ les problmes posŽs - parfois - par leur mauvaise qualitŽ (dŽrivant d'un manque de comprŽhension, d'une vision trop ou trop peu scientifique, de certains prŽjugŽs, de l'attachement excessif ˆ des traductions dŽsutes ou d'une trop large confiance en certaines versions modernes). Toutefois les traductions du Livre sont essentielles pour faire conna"tre correctement l'Islam ˆ des millions de personnes. Plusieurs distinctions s'imposent pour conna"tre l'Islam. Il faudra ainsi faire la diffŽrence entre d'une part la religion et d'autre part les cultures, la politique, les aspect sociaux et leurs heritages historiques, mme si parfois ces domaines se superposent. Les cultures des Pays islamiques, qui s'Žtendent de l'ocŽan indien ˆ l'atlantique, sont nombreuses et differentes; on confond souvent certaines pratiques tribales ou sociales avec l'Islam, et on identifie le musulman avec l'arabe, alors que les arabes reprŽsentent seulement un huitime des musulmans. L'erreur plus grave serait donc celui de mettre en question l'universalitŽ de l'Islam en donnant une valeur religieuse aux particularismes non religieux (culturels, sociaux, etc). Selon cette vision, le Coran est adressŽ ˆ toute l'humanitŽ, et ses aspects ponctuels n'amoindrissent pas sa portŽe gŽnŽrale. La langue arabe, en outre, est la langue du Message et non pas celle de Dieu, et le peuple arabe n'est pas plus important qu'un autre. Une autre diffŽrence importante est ˆ faire entre la religion et la politique. Certains mŽdias occidentaux par erreur assimilent le musulman ˆ l'islamiste. Ils oublient ainsi que certaines violences sont le fruit d'une mauvaise interprŽtation de la religion et sont utilisŽes comme instrument de lutte politique. En rŽflŽchissant sur ces diffŽrences, un occidental (et en gŽnŽral un non musulman) pourrait conna"tre mieux l'Islam sans trahir les fondements de sa culture d'origine qui ne seraient pas en cause. Et mme en donnant une importance prioritaire ˆ l'ŽlŽment culturel (par rapport ˆ vocation universelle de l'Islam), il ne faudrait pas oublier que la tradition judŽo-chrŽtienne et la tradition islamique partagent un patrimoine commun considŽrable.
GBC
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